Curcuma: proprietà e benefici

La curcuma è una spezia che deriva dalla pianta della Curcuma longa, che viene utilizzata tradizionalmente in tutto il mondo, ma è nota soprattutto per essere una componente del curry nei piatti orientali e per contenere la curcumina, di cui si elogiano molte proprietà.

La curcumina è un polifenolo con proprietà anti-infiammatorie, anti-depressive, anti-dolorifiche, permettendo così di: rallentare la progressione di alcune forme di cancro, alleviare il declino cognitivo legato all’età e le patologie neurodegenerative, ridurre il rischio cardiovascolare attraverso il miglioramento del profilo lipidico (abbassamento trigliceridi, abbassamento colesterolo LDL e colesterolo totale) e ridurre il rischio di sindrome metabolica e diabete, avendo un effetto insulino-sensibilizzante attraverso l’azione antinfiammatoria. Ma quante di queste proprietà sono realmente osservate in letteratura scientifica?

Curcuma: calorie e valori nutrizionali

Quando parliamo di valori nutrizionali della curcuma ci riferiamo fondamentalmente alla radice di curcuma, che ha i valori nutrizionali che trovi in tabella.

Parametro nutrizionale Valore per 100 g
Calorie (kcal) 354
Carboidrati (g) – di cui fibre (g) 65 – 20
Proteine (g) 8
Grassi (g) – di cui saturi (g) 10 – 3

Dal punto di vista dei micronutrienti degni di nota troviamo solo il potassio, con un apporto di addirittura 2.525 mg per 100 grammi di prodotto.

Teniamo comunque conto che la curcuma è utilizzata come spezia in polvere (a volte grattugiata) in una quantità irrisoria nell’ordine dei milligrammi, per cui l’apporto energetico e nutrizionale di queste sostanze è veramente minimo e trascurabile.

L’aspetto che invece accende l’interesse verso questa spezia è sicuramente il contenuto di una serie di composti detti curcuminoidi, tra cui spicca la ben famosa e studiata curcumina, a cui si attribuiscono molti benefici, ma vediamo cosa dice in merito la letteratura scientifica nel prossimo capitolo.

Benefici della curcuma

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1. Proprietà antinfiammatorie

Partiamo dai meccanismi attraverso cui la curcumina sembrerebbe esercitare le sue potenti attività antinfiammatorie, per poi valutare la rilevanza pratica e clinica di queste proprietà.

Uno degli effetti più studiati riguarda la sua capacità di inibire la produzione di citochine pro-infiammatorie. Questo risultato è stato osservato già dopo l’ingestione orale di 150 mg di curcumina. È bene sottolineare, tuttavia, che in questi studi erano presenti diversi fattori confondenti, poiché la curcumina veniva assunta insieme ad altre sostanze bioattive – 75 mg di resveratrolo e 150 mg di catechine del tè verde – tutte note per i loro effetti antinfiammatori e antiossidanti.

La curcumina sembra inoltre sopprimere diversi enzimi pro-infiammatori, come iNOS e la fosfolipasi A2, e mostra un marcato effetto inibitorio sulla migrazione dei macrofagi. Va però ricordato che gran parte di queste evidenze deriva da studi su modelli animali, in particolare roditori.

In alcuni lavori, la curcumina ha dimostrato di esercitare il proprio potenziale antinfiammatorio riducendo i livelli di proteina C-reattiva, uno dei marker più utilizzati per stimare lo stato infiammatorio sistemico. Altri meccanismi frequentemente citati includono la diminuzione della perossidazione lipidica – un processo che nel tempo può danneggiare le membrane cellulari e il DNA – e l’aumento dei livelli di adiponectina. Quest’ultima è un’adipochina prodotta dal tessuto adiposo: le sue concentrazioni diminuiscono con l’aumentare della massa grassa e aumentano invece nelle persone più magre. L’adiponectina è una molecola con spiccati effetti antinfiammatori, antiaterogeni, insulino-sensibilizzanti e antineoplastici; la sua riduzione nei soggetti obesi rappresenta uno dei possibili meccanismi attraverso cui l’eccesso di grasso aumenta il rischio di malattie infiammatorie, metaboliche e tumorali.

La curcumina è stata associata anche alla riduzione di vari segnali infiammatori legati all’artrite. Diversi studi su ratti hanno mostrato che dosi intorno ai 200 mg/kg possono sopprimere l’infiammazione causata dal rilascio di citochine nell’artrite, e in alcuni casi la curcumina si è rivelata persino più efficace dei componenti attivi dello zenzero, noti per le loro proprietà anti-artritiche.

Ancora, la somministrazione orale di curcumina sembra efficace nel ridurre i sintomi dell’osteoartrosi del ginocchio. Gli studi disponibili indicano un miglioramento clinicamente significativo, con una riduzione dei sintomi che può superare il 50% dopo alcuni mesi di integrazione.

Nel complesso, la curcumina appare come una sostanza dotata di potenzialità antinfiammatorie rilevanti, e l’assunzione orale sembra associata a una riduzione di varie condizioni o stati patologici caratterizzati da infiammazione.

2. Curcuma e longevità

Il principale macro-meccanismo che collega la curcuma alla longevità riguarda la capacità della curcumina di stimolare l’autofagia.

L’autofagia è un insieme di processi cellulari che porta alla degradazione selettiva di organelli danneggiati o invecchiati, permettendo una sorta di “pulizia interna” e favorendo così la rigenerazione delle cellule.

In letteratura esistono numerose sostanze associate all’attivazione dell’autofagia, in particolare diversi polifenoli come il resveratrolo, la quercetina, le catechine del tè verde e la silibina del cardo mariano. Tra questi troviamo anche la curcumina, che sembra condividere le stesse potenzialità.

È però essenziale chiarire che, in questo ambito, stiamo parlando esclusivamente di meccanismi teorici. La ricerca è ancora troppo preliminare per trarre conclusioni applicabili nella pratica. In altre parole – e questo va sottolineato con forza – al momento non esistono evidenze solide, né sull’uomo né su modelli animali ben controllati, che indichino che la curcumina o altri polifenoli possano realmente aumentare la durata della vita o tradursi in un miglioramento della longevità.

3. Curcuma e riduzione del rischio cardiovascolare

Esiste una vasta letteratura che esplora la relazione tra curcumina e rischio cardiovascolare. Questo composto è considerato interessante perché, in diversi studi, ha mostrato un potenziale beneficio su alcuni marker e fattori di rischio associati agli eventi cardiovascolari, come la riduzione della pressione sanguigna, l’aumento dei livelli di colesterolo HDL e, in alcuni casi, la diminuzione dei trigliceridi plasmatici.

Tuttavia, quando presenti, questi effetti risultano generalmente molto modesti.

4. Riduzione insulino-resistenza e riduzione rischio di diabete

L’effetto ipoglicemizzante della curcumina è stato uno dei primi a essere osservato e descritto in letteratura. Esistono diversi meccanismi che possono spiegare questo risultato: uno dei principali è l’attivazione dell’AMPK nel tessuto muscolo-scheletrico e nel fegato, un processo che aumenta l’assorbimento e l’utilizzo del glucosio da parte delle fibre muscolari.

Un ruolo importante sembra essere svolto anche dal miglioramento della sensibilità all’insulina, probabilmente mediato dagli effetti antinfiammatori della curcumina.

In uno studio condotto su individui pre-diabetici, un’integrazione di curcumina protratta per nove mesi ha mostrato di preservare la funzione pancreatica e migliorare sia la sensibilità all’insulina sia i livelli di adiponectina, suggerendo un impatto favorevole anche sul tessuto adiposo.

Nel complesso, tuttavia, le evidenze attuali sono ancora troppo limitate per affermare che la curcumina eserciti un effetto significativo sul tessuto pancreatico. Possiamo comunque dire che, nelle persone con insulino-resistenza, la curcumina può contribuire ad aumentare la sensibilità all’insulina, anche se l’entità dell’effetto rimane modesta.

5. Curcuma per dimagrire

L’infiammazione sembra svolgere un ruolo rilevante nell’obesità, e una delle citochine più discusse in questo contesto è il TNF-alfa. È noto, infatti, che i topi geneticamente obesi sovraesprimono TNF-alfa, e questa stessa tendenza si osserva negli individui sovrappeso.

Tuttavia, poiché il TNF-alfa possiede anche un’attività lipolitica, il suo aumento nei soggetti obesi potrebbe rappresentare più un marcatore che un vero fattore causale. È possibile, infatti, che le persone con obesità siano semplicemente più sensibili al TNF-alfa, così come risultano meno sensibili all’insulina (una sorta di “resistenza al TNF-alfa”). Inoltre, il TNF-alfa è un potente attivatore del fattore NF-kB, e l’iperattività di entrambi negli adipociti è strettamente associata alla sindrome metabolica e all’obesità.

In sintesi, un eccesso di infiammazione nel tessuto adiposo – misurabile attraverso vari biomarcatori, tra cui lo stesso TNF-alfa – è fortemente correlato con la sindrome metabolica e lo stato di obesità. Per questo motivo alcuni ricercatori ipotizzano che interventi mirati a ridurre l’infiammazione degli adipociti possano avere un ruolo nel contenimento della massa grassa.

Abbiamo effettivamente visto come la curcumina sia un composto antinfiammatorio interessante. Tuttavia esiste un punto fondamentale: un’associazione o una correlazione non implica una relazione causa-effetto. Non possiamo dunque affermare che l’infiammazione causi l’obesità. Le evidenze attuali suggeriscono semmai il contrario: è l’obesità – in particolare l’ipertrofia degli adipociti – a favorire la produzione di citochine pro-infiammatorie e la concomitante riduzione dell’adiponectina, alimentando così lo stato infiammatorio. Non a caso, il modo più efficace per ridurre l’infiammazione sistemica di basso grado resta semplicemente la perdita di massa grassa.

Allo stato attuale, la curcumina non mostra alcun effetto diretto sul dimagrimento né un impatto significativo che giustifichi il suo utilizzo a questo scopo. Non vi è quindi alcun motivo per raccomandarla a chi desidera perdere peso.

6. Curcuma e azione benefica sul cancro

La capacità della curcumina di promuovere l’autofagia (come già discusso in precedenza) ha portato alcuni ricercatori a ipotizzare che questa sostanza possa esercitare effetti benefici contro particolari cellule tumorali resistenti all’apoptosi, cioè alla morte cellulare programmata. L’autofagia, infatti, sembra in grado di eliminare rapidamente anche le cellule che sfuggono ai normali meccanismi apoptotici.

Sulla base di questo e di altri meccanismi, alla curcumina vengono spesso attribuite potenziali proprietà anticancro. Ma quali sono gli altri processi coinvolti?

Per cominciare, la curcumina possiede la capacità di proteggere il DNA dall’ossidazione. Questo effetto è stato osservato anche negli esseri umani dopo tre mesi di assunzione orale di 1 g di curcumina associata a piperina. Nei ratti, inoltre, la curcumina ha mostrato di prevenire la formazione di addotti al DNA nelle cellule epatiche esposte a sostanze cancerogene, e risultati simili sono stati osservati nelle cellule del colon, sempre in modelli animali.

Un altro meccanismo centrale nell’ipotetica attività anticancro della curcumina riguarda l’inibizione di NF-kB. Normalmente, il TNF-alfa – una citochina pro-infiammatoria – stimola NF-kB, incrementando segnali di crescita cellulare e infiammazione. La curcumina, invece, ha dimostrato di poter inibire l’interazione tra TNF-alfa e NF-kB anche senza ridurre i livelli di TNF-alfa stesso. Questo meccanismo rappresenta peraltro uno degli aspetti fondamentali dei suoi effetti antinfiammatori.

Sono stati osservati anche potenziali effetti antineoplastici diretti: la curcumina sembra infatti agire su specifiche proteine note come Specificity Proteins, fattori di trascrizione coinvolti nella regolazione, sopravvivenza e proliferazione cellulare. È però essenziale sottolineare che tali evidenze provengono esclusivamente da studi in vitro e rappresentano dunque conoscenze puramente meccanicistiche, non applicabili a livello clinico né utilizzabili per formulare raccomandazioni pratiche.

7. Curcuma e prostata

Alcuni studi suggeriscono che la curcumina possa avere un ruolo nella protezione dal cancro alla prostata, ipotesi basata soprattutto su meccanismi come l’inibizione dell’espressione delle citochine CXCL1 e CXCL2 e la soppressione di altri fattori coinvolti nella metastatizzazione del tumore prostatico.

Tuttavia, si tratta di evidenze di basso livello, poiché provenienti principalmente da studi in vitro. Alla luce di ciò, non è possibile affermare che la curcuma – in quanto spezia contenente curcumina – possa proteggere in modo significativo dal cancro alla prostata, né che possa essere utilizzata a fini terapeutici in ambito oncologico.

A conferma di questo, né l’IARC né il WCRF, le principali agenzie internazionali impegnate nella ricerca sul cancro, menzionano la curcumina come composto utile nella prevenzione di qualsiasi tipo di tumore nei loro report ufficiali.

Assunzione e dosaggio della curcuma

curcuma valori nutrizionali

Una prima caratteristica importante da conoscere è che la curcumina è liposolubile; di conseguenza, per essere assorbita in modo ottimale dovrebbe essere assunta insieme a una fonte di grassi, proprio come accade per le vitamine liposolubili (ad esempio la vitamina A e la vitamina E).

Indipendentemente dalla modalità di assunzione, la curcumina presenta comunque una biodisponibilità orale molto bassa, il che significa che solo una piccola parte del composto viene effettivamente assorbita.

I metodi più efficaci per aumentarne l’assorbimento consistono nell’associarla alla piperina – un composto presente nel pepe nero – oppure nell’utilizzare formulazioni specifiche a base di lipidi.

Per quanto riguarda la sicurezza, dosi fino a 8 g di curcuminoidi non risultano associate a effetti avversi negli esseri umani. Alcuni studi hanno utilizzato fino a 12 g al giorno senza riscontrare alcun effetto collaterale.

Sebbene alcune limitate evidenze in vitro suggeriscano che la curcumina possa danneggiare il DNA o sopprimere il sistema immunitario a concentrazioni molto elevate, i dati disponibili indicano che la soglia di sicurezza è ampia (8–12 g al giorno). Le formulazioni commerciali brevettate, inoltre, contengono quantità decisamente inferiori, nell’ordine dei milligrammi o di 1–2 grammi, quindi ben al di sotto dei livelli potenzialmente problematici.

Curcuma: effetti collaterali

curcuma cancro

Sebbene sia stato ipotizzato che la curcumina possa avere una tossicità selettiva nei confronti delle cellule tumorali senza danneggiare quelle sane, uno studio in vitro ha dimostrato che può indurre apoptosi anche nelle cellule T umane sane, e in misura paragonabile a quella osservata nelle cellule leucemiche. In altre parole, questi studi indicano che la curcumina non presenta una tossicità selettiva verso le cellule tumorali e può danneggiare anche alcune cellule sane.

Un altro studio, sempre in vitro (e dunque puramente teorico), suggerisce che dosi estremamente elevate di curcumina (15–20 g) possano ridurre l’attività del sistema immunitario.

Numerosi studi su modelli animali, in particolare roditori, hanno documentato un aumento dell’incidenza di ulcere, iperplasia, metaplasia e infiammazione — con conseguente sviluppo di cellule tumorali — in seguito all’assunzione di grandi quantità di curcumina. In alcuni casi è stato osservato un aumento significativo dei carcinomi dell’intestino tenue in topi alimentati quotidianamente con dosi molto elevate. Da queste evidenze, un suo utilizzo ad alte dosi potrebbe persino risultare dannoso.

Negli esseri umani, invece, gli studi indicano che dosi fino a 8–12 g di curcumina al giorno sono considerate sicure e ben tollerate. Inoltre, quando si utilizzano formulazioni che ne aumentano la biodisponibilità, come la curcumina legata alla lecitina (MERIVA), l’assunzione di 1 g al giorno per 8 mesi non è stata associata ad alcun effetto avverso.

Detto ciò, un sovradosaggio o un uso prolungato nel tempo potrebbe avere effetti epatotossici. E benché la vera soglia di tossicità significativa sembri collocarsi oltre gli 8–12 g, è altrettanto vero che dosi molto più basse — già intorno ai 500 mg al giorno — possono causare lievi effetti collaterali come mal di testa o eruzioni cutanee.

Dosi più elevate, intorno ai 4 g al giorno, possono invece provocare diarrea, distensione addominale e reflusso gastroesofageo.

Un altro tema spesso discusso riguarda il potenziale effetto della curcumina sul metabolismo del ferro. La curcumina, infatti, può legarsi al ferro e ridurne l’assorbimento, circostanza che ha portato molte persone a preoccuparsi per l’uso culinario della curcuma. Tuttavia, 500 mg di curcuma — una quantità comune in cucina — non influenzano in modo significativo l’assorbimento del ferro.

L’effetto “chelante” della curcumina, quindi, non si manifesta alle basse dosi assunte con l’alimentazione, anche perché la sua biodisponibilità è scarsa. Può eventualmente emergere solo a dosi molto elevate, tipiche degli integratori concentrati, e risulta rilevante soltanto quando l’apporto dietetico di ferro è insufficiente. Se la dieta contiene ferro a livelli adeguati, questo effetto non rappresenta un problema.

In conclusione, è improbabile che la curcumina assunta ai dosaggi tipici possa causare carenze di ferro. Semplicemente, si sconsiglia l’uso di integratori di curcumina nelle persone già a rischio di carenza di ferro — ad esempio per specifici regimi alimentari o condizioni cliniche.

Gli effetti collaterali più comuni, anche a dosaggi considerati sicuri e ben al di sotto della soglia di tossicità (> 8–12 g), sono generalmente lievi e comprendono disturbi gastrointestinali (come nausea o diarrea) e dermatiti. E’ consigliabile adottare prudenza nel suo utilizzo e ancor più nell’assunzione di curcumina tramite integratori isolati.

È inoltre importante ricordare che, nella maggior parte dei casi, non disponiamo di informazioni adeguate sugli effetti reali di molte sostanze assunte durante la gravidanza, né sul benessere della madre né su quello del feto. In assenza di solide evidenze di sicurezza, la cautela è quindi sempre la scelta più sensata, soprattutto quando si tratta di composti non necessari.

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Del Dott. Daniele Esposito autore di Project Diet

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Andrea Biasci

Fondatore del Project inVictus e autore di Project Nutrition, il libro sulla nutrizione con più di 90 000 copie vendute, che unisce la teoria alla pratica su base scientifica. Laureato in Scienze Motorie e nella magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Per anni è stato Professore Universitario a contratto presso l'Università degli Studi di Milano. Maggiori informazioni

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