I muscoli bi-articolari: bicipite e tricipite brachiale

muscoli biarticolari

Analisi funzionale dei muscoli bicipite e tricipite brachiale, due dei più agognati nel panorama delle palestre di ieri e di oggi, ponendo l’attenzione alla loro caratteristica biarticolarità che ci aiuterà a comprendere meglio alcuni gesti motori tipici dell’ambiente e ad acquisire consapevolezza e conoscenza applicabile ai nostri allenamenti.

Articolo del Dr Andrea Roncari

Identificandomi come fermo e convinto detrattore della mediocrità, della passività e della mancanza di spirito critico che spesso caratterizza gli ambienti fitness di oggi, mi risulta interessante e utile approfondire con questo breve articolo alcune fini dinamiche kinesiologiche che contraddistinguono invece quel rappresentante di eccellenza e perfezione chiamato corpo umano, allo scopo di rivalutare l’importanza di una conoscenza adeguata della teoria e di una scientifica e consapevole applicazione nella pratica.

Per farlo mi servirò in questa sede di un argomento all’apparenza conosciuto agli appassionati ma che spesso non trova profonde radici nel loro bagaglio di conoscenze mantenendosi troppo spesso in superficie grazie a conoscenze affastellate e prive di connessioni ereditate dagli ambienti del settore.

Mi riferisco ai muscoli bicipite e tricipite brachiale e, in particolare, alla loro interessante caratteristica, comune anche ad altri muscoli del corpo umano: la bi-articolarità.

Cominciamo l’analisi col dire che un muscolo si definisce bi-articolare quando, lungo il suo decorso da origine a inserzione, “sormonta” due differenti articolazioni e con la sua contrazione determina alcuni movimenti in entrambe. Vediamone quindi due esempi facendo entrare in scena i due attori principali: bicipite e tricipite.

Il muscolo bicipite brachiale, vero e proprio caposaldo del body building, è costituito, come suggerisce il nome stesso, da due ventri muscolari, un capo lungo e un capo breve, che originano rispettivamente dal tubercolo sovra glenoideo (6) e dal processo coracoideo (8) della scapola. Occupando la loggia anteriore del braccio, i due capi, si uniscono all’altezza della tuberosità deltoidea dell’omero per poi ancorarsi con un tendine comune sulla tuberosità del radio (9) e tramite il lacerto fibroso (10) sull’ulna.

bicipite brachiale

Il muscolo tricipite brachiale, si compone invece di tre ventri muscolari, un capo lungo (2), un capo mediale e un capo laterale, che originano rispettivamente dal tubercolo infraglenoideo (5) della scapola, e dalla faccia dorsale dell’omero medialmente e lateralmente al solco del nervo radiale. Occupando la loggia posteriore del braccio, tutti e tre i capi si uniscono in un tendine comune che va a fissarsi sull’olecrano dell’ulna (14).

anatomia tricipite

Questo piccolo viaggio nei meandri dell’anatomia dell’arto superiore risulta fondamentale per la comprensione del concetto di biarticolarità e nel comprendere come tale caratteristica contribuisca a fare dell’organismo umano, anche dal punto di vista motorio, una macchina perfetta. Conoscendo origine e inserzione siamo ora in grado di riconoscere quali articolazioni sono “sormontate” e sono quindi in grado di muovere questi due muscoli tanto agognati.

Tutti gli appassionati frequentatori di palestra che sfiniscono le proprie braccia a suon di “curl” e “push down” converranno col fatto che, le inserzioni a livello avambrachiale dei due muscoli, determinano un movimento dell’articolazione del gomito, in particolare una flessione ad opera del bicipite ed una estensione ad opera del cugino tricipite.

Assillati da istruttori che inveiscono a suon di “tieni fermi quei gomiti!!”, converranno meno sul fatto che, entrambi i muscoli, muovono l’articolazione gleno-omerale o per capirci meglio (anche se dirlo non è anatomicamente corretto) la spalla.

Tuttavia l’anatomia e la sua conoscenza non tradiscono mai e le inserzioni scapolari di entrambi i capi del bicipite e del capo lungo del tricipite ci assicurano (anche se a contraddirlo c’è il più “grosso” della palestra) che tali muscoli esercitano un potere cinetico sulla spalla garantendo con il bicipite un movimento di flessione e col capo lungo del tricipite un movimento di estensione.

Apro una parentesi augurandomi che si estinguano tutti quei personaggi che in sala attrezzi, sacrificano l’anatomia sull’altare della superficialità, che correggono forzando i gomiti delle persone lungo i fianchi durante un esercizio per i bicipiti o i tricipiti e che gridano alla blasfemia quando un cliente invece, come natura vuole, i gomiti li muove in modo fisiologico e senza pensarci.

Se poi ci piace fare o proporre l’esercizio con gomiti bloccati lungo i fianchi facciamolo pure, dal momento che la stimolazione muscolare sarà sicuramente tanto analitica quanto adeguata allo scopo ipertrofico, ma non per questo eleggiamolo a dogma della palestra perché abbiamo visto come tali muscoli siano coinvolti nei movimenti corporei con meccanismi molto più fini e globali e per questo non possiamo additare come scorretta un esecuzione che rispetta tali dinamiche. Per cui come sempre le cose basta saperle e padroneggiarle con sicurezza. La consapevolezza prima di tutto…chiusa parentesi.

Detto ciò e appurato come bicipite e tricipite (col suo capo lungo) influenzino i movimenti dell’articolazione gleno-omerale e di quella del gomito in virtù delle loro origini e inserzioni, e potendo dunque iscriverli di diritto alla famiglia dei muscoli biarticolari, entriamo ora nel merito dell’importanza che ricopre tale caratteristica nell’ambito di una concezione motoria globale che sfugge alle dinamiche analitiche e segmentarie degli esercizi del body building classico ma che invece ci rimanda alla filogenesi, ai movimenti di vita quotidiana e a quelli sportivi.

Tenendo conto che in natura niente esiste per caso…a cosa servono i muscoli bi-articolari? Quali vantaggi ne trae l’organismo dal punto di vista motorio? Per capire ciò è necessario analizzare un movimento vecchio come l’uomo se non di più se è vero che deriviamo dalle scimmie: l’arrampicata. I nostri primi antenati hanno utilizzato per millenni lo schema motorio dell’arrampicata nella loro vita quotidiana per scopi coerenti con il loro istinto di sopravvivenza.
arrampicata muscoli biarticolari

Con il passare degli anni e con la civilizzazione abbiamo avuto sempre meno necessità di utilizzarlo nell’arco della nostra vita ma tuttavia abbiamo conservato strutture anatomiche che si sono evolute negli anni per aumentare l’efficienza di tale movimento. Oggi, tramite esercizi come le trazioni e le parallele, è giustamente rievocato nelle palestre e nei programmi di condizionamento neuro- muscolare degli atleti.

Ma come si comportano bicipite e tricipite in un movimento così globale e funzionale? Analizzando in una trazione, con l’aiuto di una foto, la posizione iniziale e finale dell’intero arto superiore notiamo come più nello specifico nella realizzazione del movimento la spalla si estende e il gomito si flette. Ecco come ciò è reso possibile dai due protagonisti:

  •  Il bicipite contemporaneamente si accorcia flettendo il gomito e si allunga durante l’estensione della spalla
  • Il tricipite contemporaneamente si allunga durante la flessione del gomito e si accorcia grazie al suo capo lungo (ebbene si anche alle trazioni si contrae il tricipite) estendendo la spalla.
    trazionitrazioni fine

Analogamente ritroviamo lo stesso identico meccanismo nel movimento di spinta nell’atto di sollevarsi (riprodotto nell’esercizio alla parallele come nella foto sottostante) nel quale, durante l’esecuzione, la spalla si flette e il gomito si estende e i due muscoli in questione si accorciano e allungano contemporaneamente con azione inversa:

  • Il bicipite contemporaneamente si accorcia flettendo la spalla e si allunga durante l’estensione del gomito
  • Il tricipite si accorcia estendendo il gomito e si allunga durante la flessione della spalla.
    paralleleparallele fine

Per capire il perché di questo strano meccanismo di accorciamento-allungamento che avviene all’interno di uno stesso movimento attingiamo dalla fisiologia ed introduciamo il diagramma tensione-lunghezza del muscolo.

diagramma tensione lunghezza muscolo

La tensione generata da una fibra muscolare e quindi macroscopicamente da un intero muscolo è strettamente influenzata dalla lunghezza che questo muscolo possiede all’inizio della contrazione. Lunghezze di partenza eccessive o ridotte determinano un calo di tensione e quindi un calo di efficienza del muscolo mentre lunghezze ottimali ne garantiscono una tensione efficace con la miglior espressione di forza possibile.

Ciò dipende microscopicamente dalla sovrapposizione dei filamenti proteici muscolari di actina e miosina e dalla possibilità o meno di creare il massimo numero possibili di ponti acto-miosinici. Una lunghezza ottimale con un muscolo non troppo lungo e non troppo corto in partenza determina la possibilità di una formazione maggiore di ponti trasversali e un’efficienza maggiore in termini di espressione di forza.

Per questo motivo durante una trazione i muscoli bi-articolari dell’arto superiore, come abbiamo visto, si accorciano e allungano contemporaneamente durante il movimento richiesto, per far si che il muscolo stesso mantenga una lunghezza ottimale e di conseguenza in accordo con il diagramma tensione-lunghezza, garantisca un’espressione di forza e un efficienza maggiore del movimento, prevenendo allungamenti ed accorciamenti eccessivi che inficerebbero la prestazione motoria che sia quella di arrampicarsi su un albero per cogliere un frutto o eseguire una ripetizione alla sbarra o alle parallele.

Meccanismo identico lo ritroviamo anche nell’arto inferiore con protagonisti retto del femore e muscoli ischio-peroneo-tibiali anch’essi biarticolari e anch’essi funzionali ad un’espressione di forza maggiore in movimenti primitivi quali correre, camminare, saltare e arrampicarsi.

muscoli biarticolari
Il fascino della macchina umana si trova anche qui nel capire come sia assolutamente studiata nei minimi particolari da quella fabbrica impeccabile chiamata natura, e la sua conoscenza approfondita ci aiuta a consapevolizzarci, fare la differenza e ad eludere il carico di superficialità dell’ambiente fitness il quale ha a che fare ogni giorno con una macchina perfetta, spesso senza rendersene conto.

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Andrea Roncari

Professore universitario a contratto all'università di Pavia. Fisioterapista specializzato nei disturbi muscolo-scheletrici e sportivi. Laureato in scienze motorie e Personal Trainer Maggiori informazioni

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