Omeopatia, le basi da conoscere

Omeopatia
Indice dell’articolo:

Omeopatia basi da conoscere

L’argomento omeopatia è indubbiamente controverso e oggetto di notevoli polemiche. In questo articolo cercheremo di dare a ciascun lettore i mezzi per una personale analisi dell’argomento, cercando il più possibile di evitare di esprimere pareri soggettivi pro, o contro l’omeopatia. Se il vostro medico o farmacista ve la consiglia sottoponetegli questo articolo (scaricabile in PDF) e fatevi fornire studi scientifici o libri di chimica e biochimica che lo possano confutare. Saremo felici di rivedere la nostra esposizione basandola su nuove prove scientifiche.

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Questo articolo è diviso in 5 parti, più 7 approfondimenti (non necessari) ma che approfondiscono e arricchiscono nel dettaglio le nozioni da conoscere:

  1. Cera una volta…
  2. I principi della medicina omeopatica
  3. Approccio della Scienza Medica e Farmacologica Moderna

a. Il Placebo

  1. Conclusioni
  2. Letture Suggerite

Approfondimenti: chi fosse interessato può soffermarsi sui seguenti punti:

  1. Fitoterapia e Erboristeria
  2. Il Problema Delle Alte Diluizioni >12C
  3. Il Problema della Rilevabilità
  4. Volume Infinito e Oltre…
  5. L’effetto Memoria
  6. L’ambiente Intorno a Noi
  7. Facciamo un Esperimento a Casa

C’era Una Volta…

Christian Friedrich Samuel Hahnemann, medico tedesco vissuto fra la seconda metà del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo (1755 – 1843), fondatore della tradizione omeopatica, che vide le sue origini nel trattato noto come Organon della medicina razionale (Organon der Hilkunkst 1810).

L’epoca in cui Hahnemann sviluppò le sue teorie, ovvero la seconda metà del XVIII secolo (1750-1800) è molto particolare per la scienza, e ancor più per la scienza medica. In tale periodo la pratica medica più diffusa era, ancora, il salasso (in voga da centinaia di anni). Tale pratica consisteva nel rimuovere una notevole quantità di sangue dal soggetto al fine di “riequilibrare il suo organismo”. Oggigiorno si sa per certo che il salasso non ha alcuna utilità pratica e gli unici equivalenti sopravvissuti di tale pratica sono il prelievo del sangue a scopo analitico (che si limita a pochi millilitri) e l’emotrasfusione (più famosa come trasfusione del sangue, largamente praticata fra individui compatibili al fine di garantire sopravvivenza in caso di cospicue perdite di sangue o nella pratica operatoria). Hahnemann, non soddisfatto delle teorie mediche dell’epoca, elaborò una sua teoria basata sull’osservazione sperimentale di un fenomeno particolare; ovvero che l’assunzione dell’estratto di Cinchona (una pianta) generasse sintomi simili alle malattie in cui veniva usata come cura (la malaria) (1). Su questo principio egli ipotizzò che l’assunzione di una sostanza che generi gli stessi sintomi di una data malattia induca l’organismo ad attuare una sorta di “inganno”, facendo sì di sostituirsi alla malattia originale e portandolo quindi alla guarigione. Al fine di ridurre gli effetti collaterali che potessero emergere, nel tempo Hahnemann comincio a diluire progressivamente le proprie preparazioni in modo da mantenere, a sua visione, “gli effetti benefici” ma eliminando nel contempo gli effetti “collaterali”.

Sulle osservazioni così compiute 200 anni or sono, vede le sue fondamenta la moderna omeopatia; nel contempo, verso la fine del XIX secolo la medicina tradizionale comincia a fare capolino. La medicina moderna, così come siamo abituati a concepirla è “relativamente” giovane e si può considerare una vera scienza solo a partire dal XX secolo (dal 1900 in poi).

(1) Va fatto notare che la scienza medica ha poi scoperto che l’effetto benefico della Cinchona era dovuto alla presenza del Chinino nella pianta, il quale fu estratto e purificato. Il chinino attacca il plasmodio della Malaria. Oggigiorno la fonte principale rimane sempre l’estrazione dalla pianta (in quanto economicamente conveniente) ma esistono diverse vie sintetiche per produrre tale composto senza necessità di passare attraverso la Cinchona con, ovviamente pari efficacia terapeutica.

I Principi Della Medicina Omeopatica

La parola Omeopatia deriva da due parole greche il cui senso può essere riassunto nel principio “simile cura simile”. Nei fatti l’omeopatia si focalizza su alcuni punti cardine. Alla base di tutto vi è l’assunto che se si somministra ad un malato una sostanza in grado di generare dei sintomi analoghi a quelli manifestati dalla patologia in atto, questa sostanza stimolerà una risposta da parte del sistema immunitario in grado di combattere la malattia in corso. Al fine di eliminare eventuali effetti collaterali generati dalla sostanza assunta, essa viene enormemente diluita fino al punto di lasciarne solo tracce o addirittura renderla praticamente assente dalla soluzione. Potremmo riassumere il processo di sviluppo di un farmaco omeopatico nel seguente processo:

  1. Per curare una determinata patologia occorre identificare una sostanza naturale in grado di stimolare simili sintomi, è prassi comune in omeopatia dare alle sostanze usate il loro nome storico latino (esempio per il Cloruro Di Sodio che vedremo più avanti si usa Natrium Muriaticum). Fra le sostanze in uso la grande maggioranza sono estratti di origine vegetale (piante).
  2. Tale sostanza viene estratta in una soluzione di acqua e alcool etilico che, nella terminologia omeopatica viene chiamata soluzione idroalcolica (2), la quale avrà concentrazione variabile dipendente della materia prima usata, tale estratto viene comunemente chiamato in Omeopatia “tintura madre
  3. In seguito la tintura madre subisce molteplici diluizioni e, ciascuna diluzione, è seguita da una agitazione rigorosamente effettuata in senso verticale detta “Dinamizzazione” (il numero di scuotimenti è ben definito e preciso per ogni preparazione), tali diluizioni a seconda del rapporto fra la miscela iniziale e quella finale vengono definite con delle sigle fatte di numeri e lettere (più avanti spiegheremo in dettaglio questo aspetto) in linguaggio omeopatico le diluizioni così effettuate sono dette “Potenze”
  4. A diluizioni superiori a 12C la sostanza originale risulta (con elevata probabilità) non essere presente nel farmaco ma, in omeopatia, si assume che la soluzione “erediti” alcune delle proprietà peculiari del principio attivo originale mantenendo il suo effetto benefico (una sorta di “effetto memoria” del solvente)
  5. Le diluizioni basse sono utili a curare gli effetti acuti e si assumono sulla base di uno schema ad alta frequenza (più volte al giorno) le diluizioni elevate (oltre 200C) sono utili per malattie croniche e si assumono su schemi a bassa frequenza di somministrazione

Diluizioni omeopatiche

Nozione complessa. Il numero antistante la sigla indica quante volte la diluzione viene applicata (ad esempio 3C indica 3 volte 1:100, ergo 1:1 000 000). Vari esempi di dosaggi esistenti possono essere 3X, 6X, 12X, 3C, 6C, 9C, 12C, 30C, 200C, CM, MM. È decisamente importante sottolineare che la dinamizzazione della sostanza da un punto di vista omeopatico ha una notevole importanza infatti le diluizioni non si equiparano in base alla concentrazione finale, bensì sono molto dipendenti dal numero di dinamizzazioni, ergo 2D non è uguale a 1C contrariamente ad un’applicazione matematica della concentrazione finale ottenuta (2D sono 2 diluizioni 1:10 che implicano una diluzione finale 1:100, mentre 1C è 1:100 diretto ma la 2D subisce 2 dinamizzazioni mentre la 1C soltanto una). Qui sotto uno schema della preparazione di una soluzione 3C; (se fosse 6C proseguirebbe per altre 3 diluzioni e così via)

Preparazione omeopatica

(2) Oggigiorno nella scienza moderna tale soluzione verrebbe definita in modo assai meno pittoresco, ad esempio una soluzione fatta di 40 parti di alcool e 60 di acqua verrebbe definita soluzione di etanolo 40% (v/v) in H2O.

Approccio della Scienza Medica e Farmacologica Moderna

La Chimica, la Biochimica e la Medicina nell’ultimo secolo hanno fatto notevoli passi avanti. Il design dei farmaci oggi non è solo fenomenologico, a differenza degli scorsi secoli. Oggigiorno la medicina (entro certi limiti imposti dalla nostra limitata conoscenza della biochimica dei viventi e dalla loro estrema complessità) è in grado di modificare e misurare i meccanismi biochimici che regolano su scala molecolare del corpo umano. Per intenderci, quando voi assumete un farmaco di esso si studia come questo agisce sul vostro metabolismo, dove finisce, quali enzimi lo attaccano e lo metabolizzano, che effetti ha sul vostro corpo e come infine il vostro corpo se ne libera (da dove e in quanto tempo a partire dall’assunzione, il linguaggio tecnico di questi aspetti entrano in quella che viene detta farmacocinetica).

Quando si cerca di curare una patologia il primo passo è sempre identificare la causa profonda. La scienza medica moderna non somministra principi farmacologici a caso fino a trovare una cura (questo avveniva molti secoli or sono). Al presentarsi di una patologia riconosciuta, per studiare un farmaco, occorre una conoscenza dei meccanismi di azione, non sempre questa conoscenza è totale ma è fondamentale apprenderne almeno abbastanza al fine di poter iniziare a disegnare meccanismi di interazione con essa; al fine di curare la condizione patologica. Per raggiungere tale scopo la scienza moderna ha diviso le patologie in vari tipi, elencarli sarebbe troppo lungo e fuori dai nostri scopi, basti capire che esistono malattie causate direttamente da agenti patogeni (ad oggi rientrano in diverse categorie tra cui: funghi, parassiti, batteri, virus e prioni) e malattie non causate direttamente da agenti esterni che si introducono nel nostro corpo (esempi sono i tumori, le malattie degenerative del sistema neurologico tra cui notissima è la sclerosi multipla e le malattie autoimmuni come la Psoriasi).

A causa di tale complessità sovente accade che nei primi stadi un farmaco viene concepito al computer; si ipotizza di voler agire su un certo meccanismo biologico ed un computer, calcola in base alla proteina che si vuole inibire, legare o di cui si vuole promuovere l’attività una serie di ipotetiche strutture molecolari (forme di sostanze). In alternativa può accadere che si noti un’azione effettuata da una data sostanza (spesso di origine naturale) su metabolismo e si ritenga di volerla testare come farmaco. Nel caso della modellazione al computer queste ipotetiche strutture vengono passate a dei chimici organici i quali hanno il compito di sintetizzare in laboratorio le strutture proposte trasformando la teoria in pratica. Nel caso di sostanze già esistenti, e potenzialmente presenti in fonti naturali si procede con delle tecniche estrattive (concettualmente simili all’omeopatia). In tali tecniche la sostanza viene “lavata” e/o messa a bagno in opportune soluzioni che possono contenere acqua o altri solventi in grado di estrarre selettivamente il principio attivo voluto. In seguito questo viene purificato eliminando altre sostanze presenti non desiderate fino a raggiungere il massimo grado di purezza ottenibile con le tecniche note ad oggi (non sempre è possibile ottenere purezze elevatissime). Potremmo riassumere come segue il processo di creazione di un farmaco:

  1. Scelta della patologia da curare
  2. Massima caratterizzazione possibile della patologia cercando di risalire ai meccanismi biochimici alla sua base che possono spaziare dall’identificazione dell’eventuale patogeno (ad esempio Virus influenzale, Virus HIV, Polmonite Batterica, etc.) alla comprensione dei meccanismi di azione di una eventuale disfunzione patogeno-indipendente (ad esempio malattie come SLA, Alzheimer, Tumori, etc.)
  3. Identificazione di uno dei meccanismi considerati chiave per il protrarsi della malattia
  4. Design di un farmaco sintetico o selezione di una sostanza naturale che possano agire sul meccanismo individuato
  5. Sintesi della sostanza artificiale o estrazione e purificazione della sostanza di origine naturale
  6. Ingresso nella fase Pre-Clinica di test

Una volta isolato e purificato un principio attivo parte un meccanismo pesantemente regolamentato da leggi e accordi internazionali che si divide in 6 fasi distinte:

  1. Fase Pre-Clinica: Vengono condotti test in laboratorio, in-vitro su cellule ed in-vivo su animali
  2. Fase 0: Test su numero ristretto di persone (10 circa) con quantità assai inferiori al dosaggio previsto, si collezionano dati su come il farmaco viene assorbito, analisi del sangue e urine per capire come il corpo espelle i sottoprodotti e quali sottoprodotti ci sono all’interno di un soggetto umano
  3. Fase 1: Dosi crescenti ma comunque inferiori a quella prevista perché sia efficace, viene testata su gruppi di 20-100 persone sane, tutti volontari. Vengono raccolti dati sulla efficacia contro eventuali effetti collaterali a concentrazione crescente per determinare quale sarà la migliore dose terapeutica che minimizza gli effetti indesiderati
  4. Fase 2: il test viene condotto su veri pazienti malati della patologia che si intende curare, il test coinvolge 100- 300 persone. Questa fase deve fornire dati sulla validazione del farmaco. Il dosaggio è quello terapeutico
  5. Fase 3: normalmente già in sede ospedaliera questa fase si raggiunge solo se dalla fase 2 si evince che il farmaco ha una efficacia terapeutica. Di solito coinvolge gruppi di 1000 – 2000 malati della patologia che si intende curare, il dosaggio è ovviamente terapeutico
  6. Fase 4: Il farmaco è commerciale e può essere prescritto e somministrato dai medici a tutti i pazienti cui la malattia per cui il farmaco è stato concepito sia stata diagnosticata

Su tutte queste fasi, in ogni paese ove vi sia ricerca attiva, vige una severa vigilanza degli istituti di salute pubblica (in Italia si tratta dell’ASL o dell’ISS – Istituto Superiore della Sanità). Questo compito è complesso e richiede enormi investimenti di denaro, tempo e risorse, si stima che il costo e il tempo di sviluppo di un singolo farmaco si attesti fra i 12 e i 18 anni con un costo approssimativo di 1 miliardo di euro.

Sperimentazione di un farmaco non omeopatico

Il Placebo

Questa parola, pesantemente abusata, indica in realtà una pietra fondante della ricerca clinica moderna. In poche parole l’effetto placebo è il miglioramento clinico mostrato da un paziente cui viene somministrato invece di un vero farmaco un prodotto totalmente inefficace (ad esempio per un certo farmaco liquido il placebo equivalente potrebbe persino essere semplice acqua). È bene sapere che l’effetto placebo esiste ed è riconosciuto dalla comunità scientifica, al punto che viene attivamente studiato per capire perché il corpo umano riesce a migliorare le proprie condizioni di salute grazie ad una convinzione psicologica (nei fatti si tratta di un effetto psicosomatico).

Tutti i farmaci moderni in fase clinica vengono testati in cieco o doppio cieco contro un placebo e, perché il farmaco sia considerato efficace, deve avere effetti maggiori del placebo su maggior numero di pazienti, in caso contrario non viene considerato efficace. Tale effetto viene validato utilizzando complessi strumenti di analisi statistica sul campione pazienti testato.

Conclusioni

Occorre notare che moltissime persone che fanno ricorso alla medicina omeopatica ricevono un effettivo giovamento e questo è innegabile. Nei fatti però la medicina moderna è incapace di determinare un qualsiasi meccanismo d’azione biochimico noto per un farmaco omeopatico fatto salvo l’effetto Placebo.

Cosa la Scienza Medica Moderna ci dice:

  1. L’effetto prodotto da una qualsiasi sostanza biologicamente attiva aumenta con l’aumentare della concentrazione di quest’ultima, così come i suoi effetti collaterali, il dosaggio viene accuratamente ponderato sulla base di rigidi e controllati test comparativi contro un placebo al fine di comprendere la reale efficacia di una sostanza contro l’effetto psicosomatico emergente dal fatto di essere curati
  2. L’assenza di una sostanza da una soluzione non può lasciare alcuna memoria di se (ad oggi non esiste prova contraria), sotto una determinata concentrazione variabile per ogni principio attivo tale sostanza perde di efficacia, rimanendo attivo solo l’Effetto Placebo
  3. Per curare una determinata malattia occorre identificare innanzitutto il meccanismo biologico d’azione e/o l’agente patogeno (dove presente), indi generare una sostanza atta ad interagire con uno o più di questi meccanismi inibendo l’azione del patogeno, favorendo la risposta immunitaria dell’organismo colpito (il malato) o, infine, cercando una soluzione al problema specifico (esistono malattie non causate direttamente da patogeni, primo esempio fra tutti i tumori)
  4. Molti Farmaci se non tutti presentano comunque degli effetti collaterali più o meno gravi, il dosaggio scelto tiene conto del bilanciamento fra effetti benefici ed effetti collaterali indesiderati

Cosa in Omeopatia ma non la scienza considera valido:

  1. L’efficacia di una sostanza non è affetta dalla diluzione, solo la sua azione terapeutica cambia di tipologia avendo effetto differenziato su condizioni patologiche acute o croniche a seconda della crescente diluzione
  2. Dopo diluizione l’assenza di una sostanza genera un “effetto memoria” nella soluzione in cui è stata inserita la quale dopo la sua rimozione mantiene alcune delle proprietà di ciò che vi è stato disciolto
  3. Per curare una determinata malattia è necessario indipendentemente dalla comprensione o meno di eventuali meccanismi biologici o biochimici sottesi immettere nell’organismo frazioni anche infinitesimali di una sostanza che possa dare sintomi simili a quelli della patologia che si voglia curare (simile cura simile)
  4. Grazie alle elevate diluzioni è altamente improbabile che un farmaco omeopatico possa avere effetti collaterali (questo punto è universalmente riconosciuto, visto che il farmaco omeopatico non ha nessun principio attivo analizzabile).

La scelta a chi affidarvi e dove spendere i vostri soldi sta sempre a voi, ed alla vostra esperienza personale. Fate buon uso del progresso delle conoscenze.

Letture Suggerite

Coloro i quali volessero approfondire in autonomia l’argomento diamo di seguito una serie di spunti di ulteriore lettura per poter approfondire molteplici aspetti, scientifici, storici e legislativi della questione omeopatia.

  •   Acqua Fresca? A cura di Silvio Garattini, ISBN 978-88-518-0248-6
  •   The Lancet, “The End of Homeopathy”, The Lancet, 366, 2005, p. 690
  •   A. Shang et al. “Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy”, The Lancet, 366, 2005, pp. 726-32

Approfondimenti sull’omeopatia

Fitoterapia ed Erboristeria

Oggigiorno con elevata frequenza si tende a vedere associate una serie di terapie addizionali alla omeopatia; in quello che potremmo identificare come insieme della “naturopatia”. Innanzitutto è opportuno ricordare che ne l’associazione mondiale della sanità né le associazioni locali riconoscono a tali terapie un valore farmacologico assimilabile a quello dei farmaci veri e propri. Questo è dovuto al fatto che tali rimedi hanno ad oggi una quantità assai limitata di studi scientifici.

Le evidenze di efficacia condotte secondo un metodo rigoroso ed accettato dalla medicina moderna sono ad oggi scarse anche per il campo della fitoterapia e dell’erboristeria. Ciò nonostante riteniamo importante distinguere brevemente tali pratiche dall’omeopatia per una radicale differenza: ovvero l’esistenza di effettivi principi attivi all’interno delle piante.

Moltissime piante producono per svariate ragioni una vasta gamma di sostanze biologicamente attive, non ultimo l’esempio della Cinchona che ha dato vita all’omeopatia stessa. Questa pianta infatti produce chinino, una sostanza in grado di uccidere il plasmodio della malaria.

Il motivo per cui normalmente il chinino viene estratto e purificato è che le radici della pianta (la parte più ricca di chinino) contengono bassissime concentrazioni, ad esempio la specie Remijia contiene circa 0.5% – 2% di Chinino. Una dose standard terapeutica efficace è di circa 650 mg ogni 8 ore, ovvero 1950 mg al giorno. Che corrisponde a quasi 200 grammi di radici di Cinchona. Normalmente per assumere direttamente la sostanza dalla pianta dovreste fare degli infusi, e in tal caso solo una piccola parte del principio attivo passerebbe nell’acqua riducendo ulteriormente il contenuto e aumentando spaventosamente la quantità di pianta da consumare. O in alternativa dovreste letteralmente masticare le radici e ingoiarle. Oltre al fatto che comunque la capacità di assimilare il chinino dalla pianta non è equiparabile ad assumere il chinino puro occorre pensare che la pianta non contiene solo chinino. Dovreste ingerire il 98-99.5% di altre sostanze non utili o talvolta anche dannose. Per questa ragione di norma la medicina seleziona le piante che sembrano mostrare effetti terapeutici e mira a identificare il composto per poterlo purificare o riprodurre in laboratorio e perfino migliorarlo.

Sempre per approfondire l’argomento, gli antibiotici nascono da un estratto naturale, la penicillina il primo antibiotico scoperto da Alexander Fleming nel 1928. In seguito partendo da questo composto in laboratorio sono state sintetizzate nuove generazioni di antibiotici atti a combattere diversi tipi di batteri, e talvolta atte a sconfiggere quei batteri che si erano evoluti per resistere agli antibiotici precedenti (motivo per cui si sconsiglia l’abuso di antibiotici, i quali devono essere assunti sotto prescrizione medica solo quando ritenuto realmente necessario, e non in autonomia). Essenzialmente le piante possono avere effetti terapeutici e sicuramente entro certi limiti li hanno, la scienza medica ovviamente ci consiglia parsimonia e saggezza nel loro uso, nel quotidiano possono essere d’ausilio ma non vi sono dimostrazioni di efficacia comparabili ai trial clinici cui i farmaci sono sottoposti né lo stesso tipo di vigilanza.

Ricordate sempre che la natura offre una gamma di sostanze assai ampia e, naturale non significa sempre benefico. Questo è un errato concetto comune in cui tutti incappiamo. Così come sintetico non dovrebbe per nessuno diventare sinonimo di cattivo o non salutare. Giusto per solleticare la vostra curiosità una serie di sostanze notevoli e di cui avrete sicuramente sentito parlare almeno una volta nella vita:

  •   Curaro, estratto dalla Strychnos toxifera, una liana che cresce abbondante in amazzonia. Tutte le piante di questa famiglia producono Brucina e Stricnina quest’ultima è una sostanza già letale per un uomo adulto in dosi di 35 mg o più
  •   Penicillina, estratta dal Penicillium chrysogenum, un fungo che cresce un po’ ovunque come densa peluria anche sul cibo essiccato sotto sale (penso che chiunque preferisca prendere il farmaco purificato che mangiare il fungo), va fatto notare che le spore di questo fungo si ritiene siano dei potentissimi allergeni (sostanze che causano allergie)
  • Aconitina, una sostanza estratta dall’Aconitum Napellus, pianta molto frequente anche in Italia. L’aconitina è altamente tossica anche per l’uomo anche in piccoli dosaggi. La più bassa dose letale per l’uomo verificata è stata di 0,028 mg/kg (ovvero 1,96 mg per un uomo adulto di 70 kg) (3)

L’erboristeria e la Fitoterapia vanno usate con saggezza e cognizione, occorre sempre cercare fonti certe e considerare queste pratiche di ausilio alla scienza medica riconosciuta.

(3) https://en.wikipedia.org/wiki/Aconitine

Il Problema Delle Alte Diluizioni >12C

In omeopatia è ben noto e, peraltro non ne viene fatto segreto da chi la pratica che, esiste una soglia di diluizione oltre la quale praticamente risulta improbabile che la “cura” sia ancora contenuta nel farmaco omeopatico indipendentemente da che tipo di sostanza si sta usando. Questa soglia corrisponde a 12C (o 12CH) (4). Questo è dovuto ad una nozione scientifica nota come Costante di Avogadro (in onore di Amedeo Avogadro ma, proposta per la prima volta da Jean Perrin nel 1909), che era totalmente ignota ad Hahnemann (morto molto prima della scoperta di questo numero).

Per farla breve, la costante o numero di Avogadro rappresenta il numero di particelle contenute in una certa quantità di ogni sostanza (ad esempio per il Cloruro Di Sodio corrisponde a 58,44 g) (5). Questo numero è molto grande e viene di norma espresso così: 6,022 x 10^23. Per i non avvezzi alla notazione scientifica, corrisponde al seguente numero:

602 200 000 000 000 000 000 000 (seicentodue triliardi e duecento trilioni)

Per quanto questo numero sembri a primo acchito spaventosamente grande, applicando il sistema omeopatico è possibile raggiungere con facilità diluizioni assai superiori a tale grandezza; il Sale da Cucina è un ottimo esempio di massima per far capire al lettore il dubbio scientifico sulle diluizioni estreme. Immaginiamo di preparare 100 ml di soluzione madre di Cloruro di Sodio (il componente più abbondante del vostro sale da cucina) e cerchiamo di farla più concentrata possibile per semplificare (giusto per informazione 100 ml sono circa metà di un comune bicchiere da cucina). Il cloruro di sodio a 25°C può sciogliersi in acqua nella quantità massima di 36 g per 100 ml, quindi dentro i nostri bei 100 millilitri di acqua (corrispondenti a mezzo bicchiere d’acqua) vi sarà un po’ di più della metà di un Numero di Avogadro di particelle (per l’esattezza il 61,6%):

370 955 200 000 000 000 000 000 particelle

Se prepariamo una soluzione 12 CH avremo diluito la nostra soluzione madre 1 000 000 000 000 000 000 000 000 di volte (un milione di miliardi di miliardi di volte), questo implica che nel nostro campione ci saranno:

370955200000000000000000 =0,371 1 000 000 000 000 000 000 000 000

Come potete facilmente notare dopo tale diluzione vi sono meno di 1 particella all’interno del contenitore, ma poiché le particelle non sono comunemente divisibili questo implica una notevole probabilità che tutte le particelle di sale siano rimaste nei vecchi contenitori.

(4) Tecnicamente questa sarebbe una inesattezza la soglia di 12C è valida per 1 mole di una qualsiasi sostanza, ma normalmente un estratto di una pianta tende a contenere assai meno di una mole di principio attivo. L’esempio è una semplificazione atta ad essere fruibile anche da coloro i quali non abbiano una formazione scientifica di base
(5) Per una qualsiasi sostanza una mole corrisponde ad una quantità in grammi della stessa pari al suo peso molecolare (il cloruro di sodio pensa infatti 58,44 g/mol)

Il Problema della Rilevabilità

Sembrerà banale eppure, forse non tutti sanno che, la scienza ha dei limiti abbastanza definiti nella sua capacità di determinare la quantità di una certa sostanza presente in una soluzione. A seconda del tipo di sostanza esistono tecniche analitiche diverse. Nel caso del cloruro di sodio (che non abbiamo scelto a caso) la tecnica più potente disponibile al mondo per la rilevazione del sodio e del cloro è una tecnica analitica nota come ICP-MS (Inductive Coupled Plasma-Mass Spectroscopy o spettroscopia di massa su plasma accoppiato induttivamente). Tale tecnica è particolarmente efficace nel determinare perfino tracce infinitesimali, ad oggi il limite di rilevabilità (ovvero la minore concentrazione possibile da individuare) del Sodio corrisponde approssimativamente a 0, 000 000 000 03% (6) (con il Cloro questa tecnica è assai meno efficace). A diluzione omeopatica di 6C avremo una concentrazione di 0, 000 000 000 001% ovvero un numero 300 volte più piccolo. Implicazioni? Se prendete la vostra fiala di Natrium Muriaticum 6C e togliete l’etichetta su questa terra nessuno sarà più in grado di risalire al farmaco originale. Ovviamente con farmaci della medicina non omeopatica questo non avviene, è sempre possibile (anche se più o meno complicato a seconda di come il farmaco viene venduto e della quantità disponibile) risalire ai principi attivi contenuti.

A tal proposito per citare un episodio significativo nel 2007 in Inghilterra un membro della commissione parlamentare britannica su scienza e tecnologia chiese ad un rappresentante inglese dell’associazione omeopatica come fosse possibile riconoscere due prodotti omeopatici dopo la diluizione ricevette la risposta: “Solo guardando l’etichetta” (7), crediamo che tale risposta non meriti ulteriori commenti.

(6) Perkin Elmer – Atomic Spectroscopy Brochure Detection Limits pag 14
(7) http://www.publications.parliament.uk/pa/ld200607/ldselect/ldsctech/166/7022105.htm, domanda n° 538

Volume Infinito e Oltre…

Molto probabilmente alcuni lettori potrebbero aver già intuito un ulteriore particolare che rende assai complessa la valutazione del metodo omeopatico. Essenzialmente riguarda il rapporto fra la quantità di soluzione che si usa per diluire e la quantità di principio attivo. Partiamo da una diluizione omeopatica elevata, ovvero la “potenza” 200C. Tale valore è comunemente disponibile per molti principi omeopatici, se dovessimo esprimere tale diluzione come particelle di principio attivo contro le particelle di diluente, dovremmo dire che per 1 singola particella di principio attivo avremo il seguente numero di particelle di solvente:

10 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000

Normalmente questo si fa, come già spiegato, prelevando una piccola quantità e diluendo ogni volta in un nuovo contenitore, supponendo di usare contenitori da 100 ml, consumando circa 20 litri di acqua otterremmo questa diluizione. Un ottimo esperimento mentale alternativo per rendere idea di quanto diluiamo però sarebbe pensare di aggiungere semplicemente acqua fino ad avere la stessa diluzione. In pratica invece di cambiare contenitore immaginate di non avere limiti e poter continuare ad aggiungere l’acqua senza prelevare mai dalla boccetta. Per raggiungere la semplice diluizione 12C non basterebbe l’acqua di tutti gli oceani della terra. Difatti occorrerebbe aggiungere cento triliardi di litri di acqua equivalenti a circa cento triliardi di chili (oltre settanta volte la massa di tutta l’acqua presente sulla superficie terrestre che si stima in circa 1,386 triliardi di chili) (8).

Ovviamente occorre ricordare che le “dinamizzazioni” sono considerate fondamentali per conferire alla preparazione omeopatica il suo effetto.

(8) Wikipedia – Water Distribution on Earth https://en.wikipedia.org/wiki/Water_distribution_on_Earth

L’effetto Memoria

L’effetto memoria è la risposta dell’omeopatia al problema delle alte diluzioni. Essenzialmente si sostiene che anche una volta che in una soluzione acquosa non sia più presente una determinata sostanza, l’acqua stessa sia in grado secondo dei principi attualmente impossibili da spiegare secondo le conoscenze di chimica fisica della scienza moderna, di ereditare le proprietà del materiale originariamente disciolto in essa.

A tal proposito tutto fa capo ad un articolo apparso su Nature nel 1988 e scritto ad opera di Jacques Benveniste (9). Nature è delle riviste scientifiche di settore considerata fra le più prestigiose. Benveniste nei suoi esperimenti testo delle culture batteriche trattate con soluzioni diluite oltre il numero di Avogadro di anticorpi. Egli notò che le soluzioni venute a contatto con gli anticorpi ed ove fosse stata effettuata una violenta agitazione (rispettando la disciplina omopatica) sembravano agire attivamente sui batteri anche a diluizioni estreme, ove la probabilità che vi fossero ancora anticorpi nella fiala risultasse veramente remota. Al contrario di soluzioni che non fossero mai venute al contatto con l’anticorpo (una sorta di placebo). Benveniste non fu in grado di fornire alcuna spiegazione scientifica di tale comportamento ma decise di inviarlo alla rivista Nature. Sebbene l’articolo generasse una certa reticenza a causa dell’assenza di basi teoriche in grado di spiegare un simile effetto, la decisione al fine di dimostrare la massima apertura mentale da parte della comunità scientifica fu la pubblicazione con riservo come sostenuto da John Maddox (editore della rivista Nature all’epoca del caso Benveniste).

In seguito si scoprì che tale ricerca era stata finanziata da una ditta produttrice di rimedi omeopatici (10). Tale esperimento fu ripetuto con l’ausilio del Premio Nobel per la fisica Georges Charpak (che lo stesso Benveniste aveva coinvolto) dimostrando che tali effetti non erano assolutamente riproducibili. Concludendo quindi che l’esperimento di Benveniste fosse sicuramente privo di validità scientifica (11).

(9) Davenas E., et al. Nature, 338. 816 – 818 (1988)
(10) (EN) Petr Skrabanek, James McCormick, Follies and Fallacies in Medicine, Prometheus Books, 1° settembre 1990, ISBN 978-0-87975-630-7.
(11) Nature 366, 525 – 527 (09 December 1993); doi:10.1038/366525a0

L’ambiente intorno a Noi

Vorremmo solleticare la vostra arguzia facendo sì che vi soffermaste un attimo a pensare ad una serie di banali nessi logici che dovrebbero essere fondamentali nel capire i profondi dubbi della comunità scientifica riguardo i principi omeopatici. Per un istante diamo per scontato che tutti i principi omeopatici siano veri, e riassumiamoli un attimo:

  • Le diluizioni estreme non rendono il principio attivo inefficace, ne cambiano solo la modalità di funzionamento
  •   Anche qualora questo sparisca il suo effetto benefico rimane

Ora prendiamo L’aconito, noto con il suo nome di Aconitus Napellus (ad esso conferito nel 1753 da Linneo in persona), il quale è un noto rimedio omeopatico. L’aconito è una pianta diffusissima sulle alpi. In pratica esso cresce e muore sulle nostre montagne. Possiamo supporre che acqua piovana e torrenti bagnino questa pianta abitualmente e l’acqua che bagna la pianta estragga nel tempo piccolissime quantità dei principi attivi da essa.

A questo punto…. Che differenza fa bere della normalissima acqua di fiume che sicuramente contiene delle particelle estratte dall’aconito piuttosto che assumere un principio omeopatico? Ed anche qualora non le contenesse, per il principio dell’effetto memoria ne manterrebbe gli effetti benefici perché sicuramente ne sarebbe venuto a contatto. Inoltre l’acqua del fiume sicuramente è stata agitata. Il problema è che l’acqua sulla terra compie un ciclo per il quale viene a contatto praticamente con ogni sostanza nota. Indi qualsiasi fonte d’acqua è stata a contatto con qualsiasi cosa, e di conseguenza avrebbe ereditato tutti gli effetti (per effetto memoria o per concentrazioni estremamente basse) di tutto ciò con cui è venuta a contatto. Tutta l’acqua che vedete in qualche modo è stata parte dei nostri oceani nel passato… indi è venuta a contatto con svariati Sali fra i quali il Natrium Muriaticum (Cloruro di Sodio). Inoltre tutta l’acqua minerale contiene sia Sodio che Cloro.

Quindi come sarebbe possibile selezionare quale effetto far ereditare al principio omeopatico nella vasta gamma di sostanze cui la soluzione idroalcoolica sarà venuta a contatto? A diluizioni estreme come si riesce in fase di dinamizzazione a preferire la selezione di una sostanza piuttosto che un’altra?

Facciamo un Esperimento a Casa

Per solleticare la vostra curiosità però vorremmo proporvi un semplice esperimento, procuratevi:

      • Del sale da cucina fino (risulterà più facile da usare rispetto a quello grosso)
      • 1 cucchiaino da caffè (quelli piccoli, contengono circa 3-5 ml di liquidi)
      • 1 bicchiere di vetro (possibilmente trasparente)
      • 2 bottiglie d’acqua da mezzo litro vuote (quelle piccole)Seguite la seguente procedura:
      1. Sciogliete un cucchiaino da caffè di Sale da Cucina in un bicchiere d’acqua (se non riuscite bene usate dell’acqua calda) dopodiché sciacquate bene il cucchiaino e asciugatelo bene per evitare di contaminare le diluizioni seguenti. Assicuratevi che la soluzione sia limpida e non ci sia sale sul fondo
      2. Ora con lo stesso cucchiaio trasferite 1 singolo cucchiaio di acqua salata dal bicchiere ad una bottiglia vuota da mezzo litro (quelle piccole dell’acqua per intenderci)
      3. Riempitela circa a 3⁄4 con dell’acqua minerale in bottiglia (una marca qualsiasi va bene) avendo cura di colare l’acqua sul cucchiaio per eliminare eventuali residui della precedente soluzione
      4. Agitate vigorosamente per qualche secondo
      5. Ora sempre con il cucchiaino trasferite 1 singolo cucchiaio di acqua dalla prima alla seconda bottiglia
      6. Riempite questa seconda bottiglia fino a 3⁄4 con acqua minerale
      7. Agitate vigorosamente
      8. Avete appena preparato una soluzione omeopatica grossolanamente simile ad una 2C di Natrium Muriaticum (in realtà è molto approssimata come misura ma il fattore di diluizione è simile)
      9. Bevete l’acqua della seconda bottiglia e vi accorgerete che non sa altro che di acqua (se avete fatto le cose bene già dalla prima bottiglia non si sentirà più alcun sapore).

Il vostro senso del gusto è già sotto la soglia di rilevabilità del salato. Da un punto di vista scientifico avete preparato una soluzione di pochi ppm (parti per milione) di Sale da Cucina in acqua. Che è una concentrazione molto inferiore al contenuto dell’acqua in bottiglia che comprate nei supermercati. Andate nel seguente link e cercate un’acqua a caso povera di sodio (<20 mg/l): http://www.acqueitaliane.fondazioneamga.org/ricerca.asp
Noi ne abbiamo presa una a caso che ad esempio contiene 7,7 mg/l (0,00077%) di Sodio e 2,8 mg/l (0,00028%) di Cloro, probabilmente molto di più della soluzione che avete appena preparato voi (almeno che non abbiate usato un cucchiaio da minestra).

Note sull’autore:
Maurizio Ballarino classe 1980 è un ricercatore chimico. Diversi brevetti chimici portano il suo nome.

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Andrea Biasci

Fondatore del Project inVictus e autore di Project Nutrition, il libro sulla nutrizione con più di 90 000 copie vendute, che unisce la teoria alla pratica su base scientifica. Laureato in Scienze Motorie e nella magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Per anni è stato Professore Universitario a contratto presso l'Università degli Studi di Milano. Maggiori informazioni

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