Chiarimenti e incomprensioni sull’intensità nell’esercizio con i pesi. (Parte 4)

Senza dubbio l’intensità dello sforzo rappresenta un’interpretazione del tutto complementare all’intensità di carico tradizionalmente usata in ambito scientifico, necessaria quindi per riconoscere un aspetto della fatica non riconosciuto dalla prima. Esistono però molti altri aspetti in grado di sollevare delle controversie nel riconoscimento della cosiddetta “intensità dello sforzo“, in quanto essa, come più comunemente definita, non è in grado di monitorare l’effettiva durezza dell’allenamento.

Significato del termine intensità: carico vs sforzo

La prima controversia nasce sulla base del differente fine per cui vengono usate queste le due definizioni di intensità. L’intensità di carico infatti è stata coniata per riconoscere una variabile calcolabile, il carico o la percentuale del one-repetition maximum (1-RM), ma non strettamente e dichiaratamente il grado di fatica. L’intensità dello sforzo invece nasce con l’intento di riconoscere il grado di fatica espressa nella singola serie indipendentemente dal carico utilizzato, sulla base delle ripetizioni eseguite su quelle eseguibili[1]. In altri casi, l’intensità dello sforzo può rappresentare una concezione più ampia e complessa, e tendenzialmente ancora più astratta e soggettiva. L’accusa più comune verso la definizione convenzionale di intensità (% 1-RM) è quella di essere limitata al monitoraggio del solo carico non potendo riconoscere lo sforzo o la fatica effettivi[1]. Tuttavia, il fatto che il termine intensità debba essere ritenuto più correttamente come sinonimo di sforzo o fatica espressa nella serie a prescindere dal carico, è un’interpretazione che potrebbe essere definita come arbitraria. Nella prima parte è stato detto che, da dizionario, l’intensità può essere descritta come “una grandezza che rappresenta la quantità di un fenomeno” o “il valore di alcune grandezze“, niente che alluda inequivocabilmente al concetto sforzo/fatica. Infatti è possibile notare che il termine intensità usato nel contesto dell’attività fisica possa essere usato comunemente come sinonimo di forza o potenza[2]. Secondo il Vocabolario etimologico della lingua italiana, “intenso” intende “che è spinto al grado altissimo di forza, di veemenza”[3], ancora niente che alluda chiaramente al significato di sforzo o fatica piuttosto che al carico o alla forza espressa per il suo sollevamento. Detta in altro modo, si da per scontato che il concetto di intensità debba essere reputato da definizione intrinseca come sinonimo di fatica o sforzo, sebbene questa associazione sembri essere frutto di un ragionamento deduttivo altamente interpretabile e senza una reale conferma da parte della semantica lessicale.

Quali parametri per il monitoraggio della fatica?

Secondo i critici verso l’intensità intesa come “carico”, questa variabile non prende in considerazione molti ulteriori aspetti che condizionano il grado di sforzo/fatica[1], ignorando però alcuni concetti fondamentali. Come accennato nel capitolo precedente (parte 3), l’intensità dello sforzo come riconosciuta comunemente si limita a valutare solo la durezza o la fatica espressa nelle singole serie, ma non in termini globali e nell’intero allenamento[1]. In altre parole, l’intensità dello sforzo può riconoscere la durezza di una serie, ma non può riconoscere la durezza di un’intera sessione. Gli stessi critici dell’intensità di carico inoltre non tengono conto del fatto che il metodo scientifico e la teoria dell’allenamento convenzionale prevedono l’uso concomitante di altri parametri complementari che colmano questa sua presunta lacuna. Prendendo in considerazione le altre principali variabili dell’allenamento, lo sforzo o la fatica, sia nella singola serie che globali, non possono essere riconosciuti solo dall’intensità di carico, ma anche dal volume e dalla densità (quest’ultima indirettamente, poi si vedrà perché), le quali offrono una valutazione complementare su questo aspetto, permettendo quindi il vero monitoraggio della durezza dell’allenamento in tutte le sue componenti. Se poi si ragiona sul lungo termine, va presa in considerazione anche la frequenza. Al contrario, l’intensità di carico come stabilita in letteratura non sembra essere intesa come variabile usata con la pretesa di calcolare il livello di sforzo o di fatica assoluti, anche perché di fatto, da sola non può permetterlo. Qui di seguito verranno esposti i motivi per cui anche le valutazioni del volume e della densità siano necessarie per riconoscere lo sforzo o la fatica indotti dall’allenamento, lasciando capire che non è l’uso di un solo parametro a poterlo permettere.

1. Volume

Il volume è una delle principali variabili dell’allenamento con sovraccarichi. Esso misura il lavoro totale nella singola sessione, ma ma può essere usato per misurarla anche sul lungo termine[4]. In questo caso si prenderà in considerazione il volume della singola sessione. Pur essendo normalmente meno associato al grado di fatica/sforzo, il volume è in realtà un parametro strettamente complementare all’intensità di carico (% 1-RM) per regolare e monitorare questo aspetto, in quanto misura della mole di lavoro. Infatti, a parità di intensità di carico, senza dubbio un allenamento ad alto volume è generalmente più faticoso e “intenso” (notare l’uso arbitrario del termine come sinomino di fatica/sforzo generale) di un allenamento a basso volume. Non è un caso che alcuni autori ritengano il volume come variabile condizionante l’intensità[5][6], a significare che maggiore è il volume e maggiore è il grado di fatica e stress generale. All’interno della singola sessione, il volume è per definiizione regolato essenzialmente dal carico utilizzato (cioè, dall’intensità di carico) e dal numero di ripetizioni eseguite, secondo le equazioni “kg x ripetizioni totali” o “kg x ripetizioni x serie”[4].

A questo punto è chiaro che:

– secondo le variabili convenzionali che riconoscono l’intensità come carico, l’intensità condiziona direttamente il volume, ma il volume non condiziona direttamente l’intensità;
– secondo le variabili reinterpretate che riconoscono l’intensità come sforzo, l’intensità non perforza condiziona direttamente il volume, ma il volume condiziona direttamente l’intensità;

L’errore potrebbe essere ancora quello di non considerare che a misurare il grado di fatica/sforzo globale secondo il metodo convenzionale non è solo l’intensità di carico (che da principio non nasce con questo scopo), ma è l’insieme delle diverse variabili dell’allenamento. Per far comprendere il perchè già le variabili esistenti siano in grado di riconoscere il grado di fatica/sforzo, anche tralasciando l’intensità dello sforzo, è necessario fare un esempio:

– Un atleta usa un’intensità di carico del 75%, che corrisponde a 15 kg e alle sue 10-RM. In questa occasione egli compie tutte le ripetizioni che gli sono consentite con tale carico (15 kg), ovvero 10 ripetizioni massime (15 kg = 75% 1-RM = 10-RM). L’atleta si è allenato con un’intensità di carico del 75% 1-RM, e un volume, riconosciuto dall’equazione carico x ripetizioni totali (15 x 10), relativo ad un tonnellaggio di 150 kg.

– Lo stesso atleta in un’altra occasione si allena alla stessa intensità di carico (15 kg = 75% 1-RM = 10-RM), con la differenza però che non raggiunge le massime ripetizioni possibili, compiendone solo 8 su 10. Secondo i detrattori dell’intensità di carico, questo esempio non permette di riconoscere il fatto che l’atleta si è allenato meno “intensamente” (inteso come fatica o sforzo) rispetto all’esempio precedente, quindi non avrebbe senso dire che in entrambi gli esempi si è allenato alla stessa intensità[1]. Accantonando la questione dell’uso arbitrario del termine “intensità” come “sforzo”, si ignora che questa differenza, pur non essendo riconosciuta dall’intensità di carico (% 1-RM), è stata riconosciuta dal volume, che infatti è risultato inferiore a causa delle minori ripetizioni totali: 15 x 8 = 120 kg .

In conclusione, le differenze nel grado di fatica o sforzo dovute ad un minore numero di ripetizioni eseguite nella serie rispetto a quelle eseguibili, sono state monitorate riconoscendo le differenze di volume (anche questo potenziale indicatore della fatica globale), pur essendo l’intensità (di carico) rimasta uguale. Pertanto, anche se non si raggiunge il cedimento nelle serie, questo aspetto viene riconosciuto dal volume pur non facendo affidamento sull’intensità dello sforzo.

2. Densità

La densità è praticamente la quarta principale variabile dell’allenamento con i pesi assieme ad intensità (di carico), volume e frequenza[7]. Quest’ultima tuttavia sarebbe da ritenere un capitolo a parte, in quanto non riguarda strettamente la singola sessione. Al contrario delle altre variabili citate, va detto che la densità non è riconosciuta come terminologia in ambito scientifico[4][8][9]. Nella ricerca si parla indirettamente della densità valutando le variazioni dei tempi di recupero, delle ripetizioni a serie e del time under tension. Infatti, al contrario delle altre variabili, questo termine nasce in ambito extra-scientifico, e sembra essere stato popolarizzato da Charles Staley con il suo celebre protocollo Escalating Density Training (EDT)[10], proposto appena nei primi anni duemila. La densità è stata definita come “la quantità di lavoro muscolare che è possibile svolgere in uno specifico periodo di tempo”[10] o “il legame tra carico e recupero all’interno della stessa unità allenante”[7]. In altre parole, un allenamento che prevede sforzi di maggiore durata e recuperi brevi, è più denso di un allenamento della stessa durata totale, ma con sforzi brevi e pause lunghe. Un circuit training è un classico esempio di allenamento ad alta densità, mentre un protocollo di forza massimale o di power bodybuilding è l’emblema dell’allenamento a bassa densità. La densità è quindi un indicatore del lavoro muscolare totale all’interno della sessione. Si potrebbe riconoscere in alternativa come la differenza tra la somma dei time under tension e la somma dei tempi di recupero[7]. Ad ogni modo, la densità può essere riconosciuta come la terza variabile necessaria per monitorare l’intensità dello sforzo in combinazione con il volume e l’intensità di carico. Non a caso, alcuni autori hanno proposto la densità come una delle espressioni dell’intensità nel bodybuilding[10][11]: a parità di volume e intensità di carico, un allenamento più denso è anche più “intenso” (inteso come “duro” o “faticoso”) rispetto ad un allenamento meno denso[10]. L’intensità di carico e il volume da soli infatti non erano sufficienti per poter monitorare il grado di fatica o intensità di sforzo imposta dall’esercizio, una necessità soprattutto nel culturismo, dove il cosiddetto stress metabolico (proporzionale alla densità), è ritenuto uno dei principali fattori – ma non l’unico – responsabili dell’ipertrofia muscolare[9]. Per tanto l’inclusione di questa terza variabile, per quanto formalmente non riconosciuta in ambito scientifico, è necessaria per riconoscere l’intensità intesa come sforzo o fatica in termini globali.

Anche in questo caso, per far capire il perchè già le variabili esistenti siano in grado di riconoscere il grado di fatica/sforzo anche tralasciando l'”intensità dello sforzo”, è necessario proporre un semplice esempio:

– Un atleta si allena con un’intensità di carico del 75%, che corrisponde a 15 kg e alle sue 10-RM. Il volume scelto corrisponde ad un totale di 50 ripetizioni totali (15 x 50 = 750 kg), che ipoteticamente porterà a termine con un totale di 7 serie. In questo caso i tempi di recupero ammontano a 2 minuti tra le serie.

– Lo stesso atleta in un’altra occasione si allena alla stessa intensità di carico (75% 1-RM = 10-RM = 15 kg) e con lo stesso volume corrispondente a 50 ripetizioni totali (tonnellaggio di 750 kg). In questo caso però i tempi di recupero tra le serie sono dimezzati a 1 minuto, con il risultato che la densità di allenamento è molto aumentata rispetto alla precedente. Questo aumento della densità si traduce in un aumento della fatica e quindi dell’intensità dello sforzo, perché le pause più brevi impediscono un recupero fisico paragonabile, e le serie vengono progressivamente affrontate con più difficoltà riuscendo a compiere sempre meno ripetizioni massime a serie. Questo aumento della densità e della fatica richiederà un aumento delle serie totali per riuscire ad equiparare il volume dell’esempio precedente con le ripetizioni totali stabilite, perché il cedimento muscolare si presenta molto prima nelle serie.

In questo esempio è stato possibile osservare che la variabile densità riesca a riconoscere quella componente dell’intensità dello sforzo o della fatica che sfuggirebbe valutando solo l’intensità di carico e il volume. Secondo i critici dell’intensità di carico (% 1-RM), quest’ultima non riesce a monitorare il grado di sforzo/fatica, ma in questo caso è stato possibile farlo tramite la valutazione della densità di allenamento (in particolare dei tempi di recupero), anche se l’intensità (di carico) e i volumi erano identici.

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Il paradosso del rapporto “volume/intensità”

Nella teoria dell’allenamento del resistance training esiste una relazione inversa tra volume e intensita, o una “ratio volume/intensità”, dove ad un aumento dell’intensità normalmente deve corrispondere una riduzione dei volumi e viceversa. Considerate le controversie ampiamente trattate riguardanti le varie interpretazioni dell’intensità, questo rapporto viene valutato in modi differenti a seconda di come si intenda il significato di tale variabile. Le organizzazioni di riferimento come l’American College of Sports Medicine (ACSM)[12] e la National Strength and Conditioning Association (NSCA)[13], così come la letteratura scientifica in genere[14][15][16], intendono questo rapporto indicando naturalmente l’intensità come carico (% 1-RM). Il classico esempio di modulazione di questo rapporto può essere osservato nel modello di periodizzazione lineare (LP, linear periodization), dove i primi cicli si caratterizzano da allenamenti dal maggiore volume e da intensità (di carico) inferiori, mentre con l’avanzamento del programma viene progressivamente aumentata l’intensità e ridotto il volume[14][16][17]. Questo rapporto, comunque, è valido anche per altre forme di periodizzazione come il modello ondulato o lineare inverso[14]. L’esistenza di questo rapporto sembra essere principalmente motivata dal fatto che volume e intensità (di carico) sono stati riconosciuti dalla ricerca sul resistance training come le principali cause della sindrome da sovrallenamento (OTS, overtraining syndrome), anche se per motivi diversi[16][18]. Il sovrallenamento indotto da un alto volume può risultare in un rapporto sfavorevole tra testosterone e cortisolo, compromettendo gli adattamenti e i guadagni muscolari[18]. Mentre il sovrallenamento indotto da alte intensità (di carico) può causare un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico per compensare la perdita di forza muscolare[18]. Comunque, al fine di prevenire il fenomeno del sovrallenamento è stato determinato che le due variabili debbano essere modulate in maniera che all’aumento dell’una si compensi una riduzione dell’altra[16]. Tuttavia, al di fuori del contesto scientifico e della teoria dell’allenamento convenzionale, lo stesso rapporto è stato spesso inteso valutando l’intensità come sforzo o fatica globale, e non come carico, portandone ad uno stravolgimento del significato.

Pertanto, secondo le due interpretazioni dell’intensità:

– nel primo caso, la “ratio volume/intensità” intende: ad un aumento dei carichi va ridotto in maniera proporzionale il tonnellaggio totale o le ripetizioni totali e viceversa;
– nel secondo caso, la “ratio volume/intensità” intende: ad un aumento della fatica o dello sforzo applicato alla serie o all’allenamento in generale, va ridotto in maniera proporzionale il tonnellaggio totale o le ripetizioni totali e viceversa;

Il secondo caso rappresenta un evidente paradosso, in quanto si è cercato di validare un principio stabilito su base scientifica anche interpretando l’intensità in maniera completamente differente da come era intesa dal principio originale stesso. Il caso più esemplare a riguardo di questa incongruenza è rappresentato dalla teoria del HIT/Heavy duty, la quale ripropose questa relazione inversa tra volume e intensità, sebbene secondo i suoi principi l’intensità non fosse riconosciuta come carico, ma bensì come sforzo espresso nella singola serie[19]. Di fatto, secondo la terminologia convenzionale, l’HIT/Heavy duty non riduceva il volume aumentando l’intensità, ma riduceva allo stesso tempo entrambe le variabili in quanto prevedeva sia un basso volume che una bassa intensità di carico (TUT molto lunghi possono essere compiuti solo con carichi a bassa intensità[4]). Inoltre, se anche il volume, secondo altre teorie, è un fattore che condiziona direttamente l’intensità intesa come sforzo o fatica globale[5][6], la reinterpretazione di questo rapporto apparirebbe ulteriormente paradossale, poiché aumentare il volume aumenta la fatica globale, e di conseguenza può rendere la sessione più intensa. Si nota quindi che anche la ratio volume/intensità assuma significati diversi e in alcuni casi potenzialmente contraddittori in base a cosa si intende per intensità. Si presume che l’origine della teoria alla base del rapporto volume/intensità sia da riconoscere nelle prime forme di periodizzazione emerse negli anni cinquanta nell’Europa dell’est, dove per intensità veniva inteso il carico[17]. Essa è stata poi studiata e validata dalla letteratura scientifica fino a i giorni nostri, dove si è continuato a considerare il concetto di intensità come convenzionalmente stabilito[14][16]. In conclusione, è evidente che il rapporto volume/intensità abbia motivo di essere interpretato e applicato con il significato che gli è stato attribuito dalle origini da parte dei coach e degli scienziati dell’esercizio, laddove per intensità viene inteso il carico utilizzato, e non lo sforzo o il livello di fatica.

Conclusioni finali

Sebbene esistano delle correnti che si oppongono al riconoscimento del termine intensità come carico o percentuale del one-repetition maximum (% 1-RM), i motivi di questo disaccordo sembrerebbero essere inconsistenti. Infatti, l’intensità come definita tradizionalmente non è mai stata intesa esplicitamente come indicatore della fatica, e il termine di per sé, secondo la semantica lessicale, non sembra confermare inequivocabilmente questa associazione[2][3]. L’intensità dello sforzo, comunque, potrebbe essere riconosciuta come una variabile ulteriore su quelle già esistenti, sebbene sia possibile notare che anche il solo uso concomitante di intensità di carico, volume e densità renda possibile monitorare il grado di sforzo e fatica nella serie o nella sessione tralasciando l’intensità dello sforzo come intesa dal HIT/Heavy duty e da altri autori[1][19].

Secondo i critici dell’intensità di carico inoltre, questa non avrebbe motivo di essere riconosciuta come tale, ma piuttosto semplicemente come “un carico corrispondente alla percentuale del 1-RM”. A supporto di ciò, essi sottolineano anche che non ci sia una stretta correlazione tra ripetizioni massime (RM) e percentuale del 1-RM, in quanto essa varia in base al grado di allenamento dei soggetti e alla diversa distribuzione delle fibre di tipo 1 e di tipo 2[1]. Questo tuttavia non riguarderebbe un presunto limite dell’intensità di carico di per sé, ma piuttosto un limite nella correlazione stimata tra RM e % 1-RM, cosa mai negata dalle linee guida e dalla ricerca[20]. Ciò che non viene considerato dai critici è che il carico (intensità di carico) di fatto rappresenta un’effettiva variabile e di grande importanza, in quanto indicatore del livello di attivazione delle unità motorie (secondo il size principle del reclutamento di Henneman) e dello stimolo dell’ipertrofia e della forza[9]. Ciò significa che per riuscire a reclutare tutte le unità motorie non basta prolungare lo sforzo il più possibile nel tempo indipendentemente dal carico[21], ma è necessario usare carichi sufficientemente elevati, pari o superiori ad un livello di intensità di carico abbasanza definito. L’intensità di carico (% 1-RM) è stata definita in letteratura come: “molto probabilmente la più importante variabile dell’esercizio per stimolare la crescita muscolare“[9][22]. Infatti esiste una soglia nella percentuale del 1-RM al di sotto del quale lo stimolo dell’ipertrofia e della forza risulta inferiore o insufficiente[9], e ciò conferisce a tale variabile un’importanza decisiva nei massimi guadagni.

In conclusione, l’intensità di carico (i.e. percentuale di carico) rappresenta una vera e propria variabile nell’esercizio con sovraccarichi, e malgrado ne venga spesso sminuita l’importanza, essa necessita di essere monitorata prioritariamente per garantire i massimi guadagni di forza e ipertrofia muscolare. Specie nel bodybuilding, l’intensità dello sforzo può essere usata come variabile ulteriore e complementare per riconoscere la differenza tra le ripetizioni eseguite su quelle eseguibili su quanto viene permesso dal carico (buffer vs. cedimento), anche se l’intensità intesa come sforzo o fatica in termini globali necessiti obbligatoriamente dell’utilizzo di tutte le variabili (intensità di carico, volume, densità e potenzialmente intensità dello sforzo) per essere riconosciuta.

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Riferimenti:

1. Fisher et al. Evidence-based resistance training recommendations. Med Sport. 2011 15 (3): 147-162
2. Dizionario dei sinonimi e contrari. Rizzoli-Larousse, 2005.
3. Pianigiani O. Vocabolario etimologico della lingua italiana. Sonzogno della Società an. Alberto Matarelli, 1937
4. Fleck SJ, Kraemer WJ. Designing resistance training programs (4th ed.). Human Kinetics, 2014. pp. 5-7.
5. Hatfield FC. HIT with a hammer. drsquat.com. (http://drsquat.com/content/articles/hit-hammer)
6. Evangelista P. Cosa è l’intensità? smartlifting.org, 16 agosto, 2011 (http://smartlifting.org/2011/08/16/cosa-lintensit/)
7. Paoli A, Neri M. Principi di metodologia del fitness. Elika, 2010. p. 102-105.
8. Helms et al. Recommendations for natural bodybuilding contest preparation: resistance and cardiovascular training. J Sports Med Phys Fitness. 2014 Jul 7.
9. Schoenfeld BJ. The mechanisms of muscle hypertrophy and their application to resistance training. J Strength Cond Res. 2010 Oct;24(10):2857-72.
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11. Tozzi C. La scienza del natural bodybuilding. Olympian’s News, 2001.
12. ACSM. ACSM’s Resources for the personal trainer. Lippincott Williams & Wilkins, 2013
13. Hoffman JR. NSCA’s guide to program design. Human Kinetics, 2011
14. Lorenz et al. Periodization: current review and suggested implementation for athletic rehabilitation. Sports Health. 2010 November; 2(6): 509–518.
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22. Fry AC. The role of resistance exercise intensity on muscle fibre adaptations. Sports Med. 2004;34(10):663-79.

Note sull’autore:
Lorenzo Pansini nasce a Trieste nel 1988. Oltre a praticare da un decennio bodybuilding natural amatoriale, consegue i titoli di Personal Trainer, Istruttore di fitness e bodybuilding, e partecipa a diversi seminari presso lo CSEN-CONI. Da diversi anni autopromosso come gestore e principale contributore nel progetto fitness e bodybuilding su wikipedia, è autore di centinaia di articoli sulla nota enciclopedia online inerenti al bodybuilding, al fitness, e ad argomenti correlati come l’alimentazione, la supplementazione e la fisiologia. Uno dei suoi principale obiettivi come autore, è quello divulgare informazioni aggiornate, complete e rigorosamente su base scientifica sfatando i dogmi, i falsi miti e i luoghi comuni molto diffusi nell’ambiente fitness e bodybuilding, tramite analisi critiche e oggettive fondate solo su una ricca bibliografia scientifica.”

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Mail: lorenzo.pansini@gmail.com

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Andrea Biasci

Fondatore del Project inVictus e autore di Project Nutrition, il libro sulla nutrizione con più di 90 000 copie vendute, che unisce la teoria alla pratica su base scientifica. Laureato in Scienze Motorie e nella magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Per anni è stato Professore Universitario a contratto presso l'Università degli Studi di Milano. Maggiori informazioni

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