Infiammazione intestinale: quali sono le linee guida

intestino irritabile

L’infiammazione intestinale è un disturbo che, in genere, provoca l’insorgere del dolore o fastidi a livello addominale. L’infiammazione intestinale può sfociare in malattie infiammatorie intestinali con andamento anche cronico (IBD Inflammatory Bowel Disease). Numerose osservazioni hanno suggerito un rapporto causale tra abitudini alimentari e malattie infiammatorie intestinali, ma al momento il ruolo della dieta nella eziologia di queste malattie rimane quanto meno controverso.

Sicuramente implicata nella genesi dell’infiammazione alla mucosa intestinale vi è l’alterazione dell’equilibrio microbico (ritroviamo quindi i sintomi della disbiosi intestinale, che indica una rottura dell’equilibrio tra i batteri buoni e quelli cattivi che vivono nel nostro organismo e in particolare nel nostro intestino). Ad ogni modo, se volessimo schematizzare le cause della patogenesi delle malattie infiammatorie intestinali dovremmo integrare i fattori ambientali con la suscettibilità genetica per quella data malattia e la salute del nostro sistema immunitario.

L’ipotesi eziopatogenetica più credibile è che un agente esterno (ambientale) determini in un organismo geneticamente predisposto un’alterazione della risposta immunitaria. È possibile, dunque, che il microbiota sia bersaglio di un’attivazione immunitaria inadeguata nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali.

Se dovessimo dare uno sguardo ai principali candidati nell’insorgenza di queste patologie infiammatorie, sicuramente il primo posto sarebbe occupato dal tabacco (in particolare per quanto riguarda il morbo di Crohn). Tra i fumatori, infatti, l’incidenza di questa patologia è molto alta, e diversi studi scientifici dimostrato che se i pazienti continuano a fumare dopo l’insorgenza della patologia hanno un peggioramento dello stato clinico e una maggior probabilità di recidive.

Uno dei meccanismi con cui il fumo è implicato nell’eziopatogenesi della malattia dell’intestino (tenue e/o crasso) infiammato, è rappresentato dal fatto che aumenta la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS, radicali liberi) e questo, in abbinamento con una bassa capacità antiossidante, aumenta i fattori di rischio per sviluppare malattie infiammatorie.

Tuttavia, questa osservazione ci fa anche comprendere quanto la dieta possa essere importante nel controllare questo tipo di patologie o addirittura, in alcuni casi, prevenirle. Poiché la bassa capacità antiossidante è data in parte dalla quantità (evidentemente bassa) di antiossidanti che introduciamo con l’alimentazione, questo significa che agendo per aumentare l’assunzione di tali composti cosiddetti antiossidanti ci può aiutare a migliorare la situazione. Peraltro, a conferma di questa riflessione, nella tabella che abbiamo analizzato abbiamo potuto apprezzare come proprio i nutrienti con proprietà antiossidanti erano i principali composti considerati anti-infiammatori.

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Intestino infiammato cosa mangiare per migliorare la situazione?

villi intestinali

Numerose osservazioni hanno suggerito un rapporto causale tra abitudini alimentari e malattie infiammatorie intestinali, ma al momento il ruolo diretto della dieta nell’eziologia di queste malattie rimane comunque controverso.

Se ci basiamo sull’osservazione che il basso rischio di malattie infiammatorie intestinali che presentano alcune popolazioni è associato ad un’elevata assunzione di fibre mentre la maggiore incidenza nei Paesi industrializzati è osservata in quelle popolazioni che tipicamente e mediamente assumono una gran quantità di carne e grassi animali (generalmente saturi, che abbiamo visto essere considerati nutrienti pro-infiammatori), riusciamo facilmente a delineare alcune linee guida che potrebbero aiutarci a capire su quali alimenti affidarci se vogliamo prevenire o controllare l’infiammazione e le malattie intestinali.

Nonostante le osservazioni negli studi epidemiologici non possono rappresentare delle evidenze di vere e proprie relazioni causa-effetto, e quindi non possiamo dire, tecnicamente, che la fibra sia protettiva contro l’irritazione intestinale mentre gli zuccheri e i grassi saturi aumentano il nostro fattore di rischio, possiamo comunque trarre delle regole dietetiche generali:

  1. aumentare il consumo di frutta e verdure, perché benché non possiamo esser certi che le fibre siano protettive, abbiamo comunque ottime indicazioni che molti dei composti contenuti in questi alimenti vegetali abbiano proprietà antiossidante e anti-infiammatoria. Inoltre, questi alimenti sono poco densi energeticamente, cioè per il volume e il peso che occupano hanno un basso contenuto di energia (e calorie) e hanno un elevato potere saziante; questo significa che acquisire la buona abitudine di mangiare frequenti e abbondanti porzioni di frutta e verdura ci aiuta a ridurre il peso corporeo o a mantenere il proprio stato di forma (se si è già normopeso), e un alimento che indirettamente protegge dall’obesità ci protegge anche dall’infiammazione sistemica, dalla flogosi cronica e dall’infiammazione intestinale, poiché l’eccesso di grasso corporeo è un fattore di rischio conclamato per la genesi dell’infiammazione, prima acuta e locale, poi cronica e sistemica.
    Attenzione, prima d’aumentare eccessivamente il consumo di fibre leggi l’ultimo paragrafo dell’articolo.
  2. Ridurre il consumo di carne grassa e alimenti industriali, poiché così facendo possiamo agilmente ridurre l’introito totale di grassi saturi e trans, che sembrerebbero essere dannosi non solo per l’equilibrio del nostro microbiota ma anche perché hanno carattere pro-infiammatorio.

Infiammazione intestinale cronica rimedi naturali

Per l’infiammazione intestinale non vi sono veri e propri rimedi naturali, se non quello di seguire una dieta equilibrata e che abbia le caratteristiche descritte nei paragrafi precedenti. Nel caso di vere e proprie malattie infiammatorie intestinali, ad andamento cronico, come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa, molto spesso vi è la necessità di ricorrere ai farmaci e, in alcuni casi, all’intervento chirurgico.

Non esiste una vera e propria dietoterapia efficace per queste patologie, perché non vi sono evidenze cliniche né basi fisiologiche a sostegno di una terapia dietetica in queste malattie infiammatorie intestinali croniche. Ciò è importante da comprendere anche in virtù del fatto che molti “guru” e “professionisti del settore”, che non ritengono utile e coscienzioso conformarsi a quella che è la medicina basata sulle evidenze (EBM), propongono e promuovono “diete miracolose” da somministrare a chi soffre di infiammazione intestinale cronica. Queste diete sono, peraltro, fondamentalmente sempre diete di esclusione, con scopi curativi (non supportati dalla ricerca scientifica, ovviamente).

Anche se molte persone evitano una serie di alimenti, bisognerebbe incoraggiarli nel seguire una dieta che sia il più normale possibile tenendo conto delle necessarie restrizioni basate su vere intolleranze alimentari individuali. La dieta che ne verrà fuori deve essere quanto più possibile varia. Spesso gli individui attrbuiscono i loro disturbi all’assunzione di determinati cibi o alle modalità di cottura. Tuttavia è molto poco probabile che un particolare cibo sia responsabile del peggioramento della malattia o dell’aggravamento della sintomatologia.

Allo stesso modo, sebbene vengano di frequente consigliati alcuni composti alimentari, in genere di origine vegetale, come in grado di curare o controllare tali malattie infiammatorie, ciò è assolutamente non documentato in letteratura scientifica.

Il ruolo delle fibre, dell’olio di pesce e degli omega-3 è ancora ampiamente discusso tra i ricercatori, figuriamoci se la scorza di limone, un po’ di zenzero o del riso scaldato possano essere rimedi naturali efficaci.

Infiammazioni colon: cosa mangiare

infiammazione al colon cosa mangiare

In genere quando si parla di infiammazione al colon si intende una condizione in cui il retto o l’intero colon (compreso l’intestino tenue e crasso) appaiono con un basso grado di infiammazione agli esami diagnostici tradizionali. In genere, i risultati di questi test o sono negativi o appunto riscontrano una lieve infiammazione che, tuttavia, non può essere associata a malattie infiammatorie intestinali più gravi, a celiachia o a qualsiasi altro tipo di disturbo gastro-enterico con patogenesi definita.

Comunemente si tende a parlare di IBS, o sindrome dell’intestino irritabile (o sindrome del colon irritabile). In questa condizione, “diagnostica” per circa il 10% della popolazione mondiale, il soggetto trova difficile digerire o tollerare una certa quantità di tipi di alimenti.

In genere l’approccio dietoterapico è costituito dal determinare quali alimenti l’individuo riesce facilmente a digerire e quali, invece, creano problemi. Questa fase della “terapia” è anche la più complessa perché, in effetti, la difficoltà di digerire gli alimenti è individuale e quindi non si possono applicare le stesse regole dietetiche per tutte le persone con sindrome dell’intestino irritato.

Ad ogni modo, in genere, ci sono alcuni cibi che contengono alcuni nutrienti, definiti FODMAP, che nella maggior parte dei casi creano problemi ai soggetti con infiammazione al colon. I FODMAP sono particolari zuccheri contenuti in genere nei legumi; inoltre comprendono il lattosio e il fruttosio. Per questo motivo, in questo tipo di pazienti è importante non consigliare grandi quantità di frutta e di alcune verdure (che invece generalmente rientrano nei consigli dietetici generali per il mantenimento o l’ottenimento di un buono stato nutrizionale e di salute) e, spesso, l’eliminazione di alcuni frutti così come di alcuni o tutti i latticini, che contengono rilevanti quantità di lattosio, è una pratica abbastanza efficace.

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Articolo del Dottor Daniele Esposito autore del libro Project Diet

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Andrea Biasci

Fondatore del Project inVictus e autore di Project Nutrition, il libro sulla nutrizione con più di 90 000 copie vendute, che unisce la teoria alla pratica su base scientifica. Laureato in Scienze Motorie e nella magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Per anni è stato Professore Universitario a contratto presso l'Università degli Studi di Milano. Maggiori informazioni

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